16 mar 2009

Aldo Loris Rossi: Il cemento armato non è eterno, mezza Napoli è da rifare

Pubblichiamo con piacere l'articolo apparso oggi sul sito del "Il Denaro"


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Urbanistica

Novanta milioni di vani da buttare

Aldo Loris Rossi: Il cemento armato non è eterno, mezza Napoli è da rifare
Aldo Loris Rossi è ordinario di progettazione architettonica ed ambientale alla università Federico II, e presidente dell'associazione radicale "Per la Grande Napoli". Nei giorni scorsi è intervenuto sulla proposta del Governo di lanciare un piano straordinario per liberalizzare il settore edilizio. Tre i punti salienti del pensiero di Rossi: "non toccare gli edifici con valore storico situati nei centri storici, né le aree agricole, rottamare gli edifici senza qualità e non antismici realizzati tra il 1945 e il 1972/75, la cosiddetta mondezza del dopoguerra". In questa intervista citiamo ampi stralci delle interviste consultabili sul sito di Radio Radicale.
Basilio Puoti

Professore, qual è il nodo della questione?
Il problema fondamentale é mandare al macero la spazzatura edilizia post-bellica, senza qualità, interesse storico ed efficienza antisismica. Si tratta di circa novanta milioni di vani, costruiti tra il 1945 e il 1972-75, che non solo non sono meritevoli di conservazione, ma che andrebbero quanto prima rottamati.
Mi dà qualche dato indicativo?
Dal dopoguerra a oggi si è realizzata la più grande espansione edilizia della storia d'Italia. Nel 1861 esistevano in Italia 17 milioni di vani, nel 1945 erano 35 milioni: abbiamo calcolato che, da allora ad oggi, sono stati distrutti circa 5 milioni di vani che definiamo storici. Viceversa oggi esistono 120 milioni vani abitativi, quindi, i 30 milioni di vani storici sono appena la quarta parte dell'intero patrimonio edilizio esistente in Italia. Ciò significa che i ? dell'edilizia esistente in Italia è post bellica. La mia generazione ha visto crescere sotto ai propri occhi 90 milioni di vani, nella stragrande maggioranza spazzatura edilizia, e non antisismica, visto che le prime leggi antisismiche risalgono agli inizi degli anni '70.
Quali sono i pericoli?
Il cemento armato non ha durata eterna, quindi, dopo 25-30 anni, e oggi siamo a 60 anni da quelle costruzioni, la resistenza si riduce progressivamente. Personalmente ho assistito alla demolizione di edilizia post-bellica degli anni '40 e '50 e ho notato che dentro il cemento non c'era più il ferro, cioè il cemento non era più armato, ma disarmato. C'erano solo buchi arrugginiti al posto del ferro. E allora il problema diventa serio. E, prima che questa edilizia ci cada addosso, muoviamoci su tre prospettive: salvaguardia integrale dei centri storici e delle aree agricole - beni unici e irriproducibili - e rottamazione con incentivi (anche per la bioclimaticità e il fotovoltaico) di quella edilizia senza qualità postbellica. Abbiamo calcolato che la spazzatura è fatta di circa 40 milioni di vani: certo non vogliamo distruggere tutti i 40 milioni di vani, ma si faccia ciò che aveva iniziato l'Ordine nazionale degli architetti.
Cioè?
L'Ordine aveva preso una grande iniziativa: realizzare il fascicolo del fabbricato, fare cioè la radiografia del fabbricato. Se infatti analizziamo specialmente questa edilizia post bellica scopriremo che, se non sono antisismici, questi edifici sono a rischio.
Cosa pensa della proposta del Governo?
" un pastrocchio. C'è bisogno dell'intervento di tecnici ed esperti del settore e dell'ambiente per correggere le distorsioni allucinanti di questa deregulation generalizzata. Nella proposta manca una chiara distinzione tra città e non città, e all'interno del discorso sulla città non si distingue l'edilizia di interesse storico da quella che non ha alcun interesse storico e tra quella staticamente efficiente e quella invece che sta in piedi per miracolo.
Berlusconi ha parlato degli edifici precedenti al 1989?
Questa data è insignificante perché l'edilizia storica è quella fino al 1945 in linea di massima. Berlusconi e i suoi tecnici devono capire questa semplice ed elementare verità: l'edilizia post bellica dal 1945 al 1972-75 praticamente non è antisismica e può caderci addosso, quindi, la dobbiamo individuare attraverso una ricognizione nei piani regolatori, poi dobbiamo circoscrivere queste aree, come hanno fatto a Roma e mettere in atto una grande opera di rottamazione. Non si può bruciare un'idea straordinaria che, tra l'altro, è inserita nella legge regionale della Calabria, e alla quale sembrano interessate il Veneto e la Puglia. Quindi, non riduciamola alla sopraelevazione o alla stanzetta, qui si tratta di aprire una grande prospettiva per rinnovare l'armatura urbana italiana e per rimettere in moto l'economia delle città. Inoltre, bisogna concepire degli attrattori per coinvolgere l'iniziativa privata che, se nei 64 anni passati ha distrutto il territorio, può fare lo sforzo, con degli incentivi, di ricostruire e riqualificare lo stesso territorio.
C'è qualche caso concreto di cui può parlare?
Certo. In viale Giustiniano imperatore a Roma è in atto una esperienza di questo genere, avviata dall'allora sindaco Veltroni. Circa 17 edifici post bellici, con problemi statici, sono stati buttati giù – dopo aver realizzato delle palazzine destinate a case parcheggio – e il gruppo tedesco che ha vinto il concorso internazionale ha cominciato a costruire edifici assolutamente moderni, con servizi integrati e con l'utilizzo delle biotecnologie, del fotovoltaico e di altre energie rinnovabili.
Qual è la situazione di Napoli?
Nella città partenopea, dal dopoguerra ad oggi, si è assistito a un boom urbanistico e ad un calo del numero di abitanti. Napoli è passata dai mille ettari urbanizzati del 1945 agli 87 mila di oggi senza ordine e senza misura: è doveroso ripensare di costruire uno scheletro portante della città con un sistema integrato di trasporti che tenga conto delle periferie, più che cercare di abbellire e restaurare i palazzi antichi. Se guardiamo poi all'area della conurbazione napoletana la situazione peggiora enormemente: nel 1861 erano urbanizzati circa 10 mila ettari, un secolo dopo l'area urbanizzata era raddoppiata, oggi siamo a oltre 100 mila ettari urbanizzati. In Italia le aree urbanizzate dal '45 ad oggi si sono quintuplicate, c'è stata una inaccettabile distruzione dei suoli agricoli.
Quindi, in sintesi cosa propone?
Di ribaltare la politica urbanistica, in questo modo si apre una prospettiva di rinnovamento radicale urbano straordinario. In Italia occorre una duplice politica, con incentivi alla conservazione dei centri storici e dell'edilizia di qualità degli anni '50 e '60, e con incentivi alla rottamazione di quell'edilizia post bellica non antisismica e priva di qualità. Solo in questo modo è possibile fermare il processo di ristrutturazione della vecchissima armatura urbana italiana, attualmente in atto, che non è controllato, né pianificato.


del 14-03-2009 num. 050

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